È banale principiare un articolo con una simile affermazione, ma meno banale è constatare come il suono di quella seicorde sia filtrato in maniera differente attraverso la cultura e la storia di paesi in un'area tutto sommato circoscritta.
Ed è così che, nello stesso deserto, possiamo trovare il blues grezzo dei tuareg Tinariwen e il rock, forzatamente lo-fi (o no-fi, come l'ha brillantemente definito qualcuno), più stratificato, meditativo, rovente, persino psichedelico di Doueh e il suo gruppo, proveniente dallo stato indipendente del Western-Sahara.
Cassette consunte, sovraincise, contaminazione ovest-centrica con la tradizione imposta dalla dominazione spagnola o giunta per osmosi dalla vicina Mauritania e dal Marocco, costituiscono il background di Salmou Baamar (Doueh) e famiglia.
Col deserto in faccia la formula trova compimento, i riff di tastiera di Jaamal Baamar creano miraggi, si alzano dalle dune come illusioni. Alla chitarra (e al tidinit) Salmou irradia tutto l'ardore e la passione che una terra per anni soggiogata può sopportare.
Il momento topico è Ragsa Jaguar, dove persino Hendrix, buonanima, dovrebbe farsi da parte e lasciare il palco ad un Doueh invasato, scatenato più di un Reed in Sister Ray, raggiante sulle percussioni plasticose di una tastierina scassata presa in prestito da Omar Souleyman, mentre la folla in delirio manifesta il proprio godimento strillando, fischiando, applaudendo. È un delirio.
Il b-side è occupato da Tazit Kalifa, un brano di 19 minuti dove il nostro salmodia e droga il suono, dando vita a una brezza dolce e costante, chiudendo nel più estatico dei modi il disco.
- Min Binato Omum
- Ragsa Jaguar
- Beatte Harab
- Nabi El Mohamed
- Tazit Kalifa
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