venerdì 26 novembre 2010

Radio Palestine: Sounds of the Eastern Mediterranean [Sublime Frequencies, 2004]

Rompo il silenzio degli ultimi mesi con una raccolta di Sublime Frequencies: "Radio Palestine: Sounds of the Eastern Mediterranean". Il disco è un pastiche caotico di registrazioni lo-fi - per necessità, più che per scelta estetica - da radio ad onde corte.
Alle spalle di "My Life in the Bush of Ghosts", c'è stato uno scambio fittissimo di bobine dalle provenienze più disparate tra Brian Eno, David Byrne e - credo - Jon Hassell, in un appartamento di New York. Mi piace pensare che i risultati di quegli incontri suonassero un po' così. O, forse ancora più suggestivo, potrebbe essere una improbabile registrazione endocranica di David Byrne.
Giustapposizioni di beat arabeggianti e Modugni nordafricani che cantano de l'Italie, frullati di Rock Bottom e pezzi dance-festaioli dal libano, collage supersonici di sartaki, folk palestinese e chitarre riverberanti dalla Giordania, ingorghi metropolitani e gorgheggi di muezzin dall'alto dei minareti.

Sublime Frequencies è l'etichetta fondata dalla pop-star siriana Omar Souleyman. Nel suo catalogo ci si può imbattere tanto in perle autentiche quanto in porcate invereconde. Facile che lo siano tutte, in realtà. Magari Souleyman è solo un cialtrone con la tastierina marcia bontempi che ha saputo far breccia nei filtri ovest-centrici indie-snob. Comunque stiano le cose, gli va dato il merito di aver fornito un palcoscenico internazionale (seppure underground) a formazioni interessanti da Africa e Asia quali Group Doueh, Group Bombino, Hayvanlar Alemi, Group Inerane. Una sorta di cheap-Real World del nuovo millennio.



























  1. Madame Foyer
  2. Falafel Eastern
  3. Bedouin Sparklers
  4. Tangental Psychedelico
  5. Solitaire Oriental
  6. Beirut Cocktail / Khartoum Ent
  7. Voice Of Peace?
  8. The Aswan Slip
  9. Ramadan With Crowbar
  10. Night In Ancient Egypt
  11. Exploding Briefcases Of Cairo
  12. Trenchcoat Heatwave, Buffet-St
  13. Electricairo
  14. How Are You, Mr. Criminal?
  15. Psychic Iman INC.
  16. Freedom Fighters
  17. Lo-Fi Nubia

martedì 18 maggio 2010

Mulatu Astatke - New York - Addis - London (The Story of Ethio Jazz 1965-1975) [Strut, 2009]

Nell'anno di pubblicazione di "Mulatu Steps Ahead", ultima uscita discografica del pioniere dell'Ethio-Jazz Mulatu Astatke, e ad un anno dalla sbalorditiva collaborazione con gli Heliocentrics, Strut records batte il metallo ancora rovente gettando in pista una retrospettiva sulla carriera del musicista intitolata "New York - Addis - London (The Story of Ethio Jazz 1965-1975)". Tre città, tre capitali, che rappresentano le tappe di un viaggio di formazione, che ha portato alla codificazione del genere, avvenuta attraverso studi e grandi collaborazioni (la più importante, forse, quella con Mongo Santamaria) grazie alle quali il nostro ha appreso le basi per dar vita alla sua creatura.


La raccolta ripropone i pezzi migliori della carriera artistica del vibrafonista e offre un ulteriore spunto per apprezzare la sua ricetta, che prende gli stilemi del jazz, la sensibilità della musica latina, e le accosta alle sinuosità della musica tradizionale Etiope.
(Ri)Troviamo Yekermo Sew, che fulminò Jim Jarmush nella raccolta Ethiopiques vol. 4; Mulatu, più sensuale e meno nervosa della versione Eliocentrica; brani da hit-parade (Lanchi Biye), cantate da  "star locali" dell'ex-colonia italiana.
Buon ascolto.
















  1. Yèkèrmo Sèw
  2. I Faram Gami I Faram
  3. Shagu
  4. Mulatu
  5. Fikratchin (feat. Menelik Wossenatchew)
  6. Yègellé Tezeta
  7. Asiyo Bellema (feat. Frank Holder & Niaaza Alsherif)
  8. Emnete
  9. Lanchi Biye (feat. Tilahun Gessesse)
  10. Yefikir Tizita
  11. Yèkatit
  12. Ebo Lala (feat. Seifu Yohannes)
  13. Wubit (feat. Muluken Melesse)
  14. Dèwèl
  15. Mascaram Setaba
  16. Girl From Addis Ababa
  17. Kasalèfkut Hulu
  18. Nètsanèt
  19. Ené Alantchie Alnorem
  20. Tezeta
link nei commenti

giovedì 8 aprile 2010

Group Doueh - Treeg Salaam [2009]

Nel bene e nel male, la chitarra di Jimi Hendrix ha influenzato generazioni di musicisti in ogni angolo del globo.
È banale principiare un articolo con una simile affermazione, ma meno banale è constatare come il suono di quella seicorde sia filtrato in maniera differente attraverso la cultura e la storia di paesi in un'area tutto sommato circoscritta.
Ed è così che, nello stesso deserto, possiamo trovare il blues grezzo dei tuareg Tinariwen e il rock, forzatamente lo-fi (o no-fi, come l'ha brillantemente definito qualcuno), più stratificato, meditativo, rovente, persino psichedelico di Doueh e il suo gruppo, proveniente dallo stato indipendente del Western-Sahara.
Cassette consunte, sovraincise, contaminazione ovest-centrica con la tradizione imposta dalla dominazione spagnola o giunta per osmosi dalla vicina Mauritania e dal Marocco, costituiscono il background di Salmou Baamar (Doueh) e famiglia.

Col deserto in faccia la formula trova compimento, i riff di tastiera di Jaamal Baamar creano miraggi, si alzano dalle dune come illusioni. Alla chitarra (e al tidinit) Salmou irradia tutto l'ardore e la passione che una terra per anni soggiogata può sopportare.
Il momento topico è Ragsa Jaguar, dove persino Hendrix, buonanima, dovrebbe farsi da parte e lasciare il palco ad un Doueh invasato, scatenato più di un Reed in Sister Ray, raggiante sulle percussioni plasticose di una tastierina scassata presa in prestito da Omar Souleyman, mentre la folla in delirio manifesta il proprio godimento strillando, fischiando, applaudendo. È un delirio.

Il b-side è occupato da Tazit Kalifa, un brano di 19 minuti dove il nostro salmodia e droga il suono, dando vita a una brezza dolce e costante, chiudendo nel più estatico dei modi il disco.





















  • Min Binato Omum
  • Ragsa Jaguar
  • Beatte Harab
  • Nabi El Mohamed
  • Tazit Kalifa

link nei commenti

domenica 28 marzo 2010

Stephan Micus - Ocean [1986]

Opera divisa in quattro parti, la cui riproduzione libera un oceano di emozioni straordinarie, a volte calmo, altre volte impetuoso. Ocean se la gioca con Implosions per il titolo di disco più bello ed emozionante del musicista tedesco. In questa occasione, Micus dimostra una maggiore padronanza dell'orchestra di strumenti che accompagnano il suo canto persiano; troviamo infatti lo shakuhachi, se possibile più struggente persino della voce di Stephan; scrosci di dulcimer che inebriano e che potrebbero continuare all'infinito, come onde sulle coste.

Stephan Micus è nato nella Germania del fervore kosmico, ma ne ha preso sin da giovane le distanze, cercando la sua rotta artistica e spirituale altrove: Marocco, India, Mongolia, Giappone; ammaliato dal credo sonoro degli Hossianna Mantra, ne eredita l'attitudine sacrale e compie la scelta ben più radicale di studiare stili musicali alieni alla tradizione teutonica, tastando con mano la tradizione, la cultura, formulando un amalgama perfetto col suo lignaggio minimale. Virtuoso dello Sho, tessitore di suite ipnotiche e abile intarsiatore di linee canore, Micus è salito alla ribalta con Implosions.






  1. Part I
  2. Part II
  3. Part III
  4. Part IV






link nei commenti

domenica 31 gennaio 2010

Nusrat Fateh Ali Khan - Love Songs (1992)



Il Qawwali è la musica sacra eseguita nei templi sufi, nato in Afghanistan circa 700 anni or sono.
Semplificando, molto banalmente possiamo asserire che lo scopo è quello di indurre musicista e pubblico in uno stato catartico facendo leva su un ritmo sempre più incalzante e del cantato e della musica.


Un'esecuzione Qawwali può essere suddivisa per contenuti (tratto da wiki):


Hamd: il termine si riferisce ad un poema o una preghiera ad Allah, solitamente scritto in Arabo, persiano, Punjabi o Urdu, che dà inizio alla performance;
Naat: equivalente islamico di inno o bhajan (tipo di canzone di devozione Indu), dedicato al profeta Maometto. Di solito, segue un Hamd;
Manqabat: è una canzone in onore dell'Imam Ali (cugino di Maometto) o di un Santo Sufi. Cantata sia nelle funzioni sunnite che in quelle sciite, viene eseguita immediatamente dopo un Naat;
Marsiya: parola araba che sta per “lamentazione per una persona defunta”, è una lamentazione per la morte della famiglia dell'Imam Husayn. Viene tipicamente suonata solo alle funzioni sciite;
Ghazal: significa “canzone d'amore”. Quello che può sembrare un canto sul piacere del bere, in realtà è una metafora sulla riunione con Dio (che impersona la figura dell'oste) nel regno spirituale (la taverna) dove l'uomo può o non può trovare l'illuminazione spirituale (il vino, che può intossicare e stordire l'uomo, o può inebriarlo e dargli gioia).
Esiste anche un altra versione del Ghazal, chiamata “canto di struggimento”, dove l'anima, separata dall'amante crudele e incurante (Dio), canta il suo dolore e il suo desiderio di riunione;
Kafi: canzone Punjabi;
Munadjaat: cantata in persiano, con questa canzone si ringrazia Allah attraverso una varietà di tecniche linguistiche.


Anche se i testi potrebbero far pensare a una musica molto materialista, inneggiante ai piaceri terreni e personali, sono da intendere come metafore dell'elevazione spirituale, sull'amore e sul dolore per la distanza da Allah.


Il più famoso artista Qawwali della nostra epoca è stato il pakistano Nusrat Fateh Ali Khan, famoso in tutto il mondo soprattutto grazie alla sponsorizzazione di Peter Gabriel e la sua etichetta Real World Records.
La famiglia di Nusrat è legata alla tradizione musicale del Qawwali da 600 anni circa. Il padre, importante e rispettato musicista e cantante Qawwali, al principio era riluttante all'idea che suo figlio divenisse un musicista, il suo desiderio era quello di vederlo laureato in ingegneria o in medicina, avendo provato sulla propria pelle le ristrettezze dello stato sociale del musicista Qawwali. Ma la passione di Nusrat fu tale da convincere tutti che quella sarebbe stata la sua strada.
Khan imparò da suo padre a suonare le Tabla, cantare nello stile classico moderno indiano e il Dhrupad (stile canoro praticato nel nord dell'India, in Afghanistan, Bangladesh, Pakistan, Nepal).
L'apprendistato presso il padre s'interruppe quando questi morì nel 1966. Nusrat completò i suoi studi presso gli zii.
A Nusrat va attribuito sicuramente il merito di aver fatto scoprire al mondo la bellezza mistica del Qawwali con album quali Mustt Mustt, nato dalla collaborazione con Michael Brook, nel quale è presente anche un remix ad opera dei Massive Attack; Love Songs, contenente diverse Ghazal eseguite assieme al Qawwali Party di famiglia. Nella sua discografia, invero molto ricca, Nusrat s'è reso responsabile di una modernizzazione della forma del Qawwali, fondendo stili diversi, utilizzando tecniche sargam, nel quale il performer canta il nome delle note che sta cantando, non disdegnando l'utilizzo dell'elettronica e delle tecniche di produzione occidentali. La musica di Khan è al contempo unita alla tradizione, seguendo infatti lo schema classico del Qawwali, il party principia l'esecuzione con un Harmonium, accompagnato dalle percussioni. Quindi gli strumenti si fermano e i cantanti eseguono l'alap, con i quali stabiliscono il raga, la struttura tonale della musica. A questo punto, vengono recitati dei versi poetici, non per forza legati alla canzone principale. La melodia viene improvvisata all'interno della struttura del raga.
A questo punto viene eseguita la sezione ritmica, entrano in scena i tabla e i dholak, mentre il coro accompagna le percussioni con il battito delle mani.
La canzone ha diversi refrain, durante i quali anche Nusrat può intervenire con improvvisazioni vocali. La durata può variare da 20 minuti, fino a poco più di un'ora.


La sua indescrivibile voce ha accompagnato diverse volte Peter Gabriel nei suoi album, quando penso alla title track di Passion e al suo lungo lamento sui tappeti di sintetizzatore mi vengono i brividi.
Insignito di varie onorificenze, la più nota è quella di Shahenshahe-Qawwali, ossia “Imperatore del Qawwali”.





















  1. Woh hata rahe hain pardah
  2. Yeh halka saroor hae
  3. Biba sada dil morr de
  4. Yaadan vichre sajan dian aiyan
  5. sanson ki mala pey
  6. Un ke dar pen pohne to payen







link nei commenti

lunedì 25 gennaio 2010

Ghazal - Moon Rise over Silk Road (2000)

Ghazal significa "canzone d'amore" ed è un tipo di canzone Qawwali apparentemente inneggiante ai piaceri terreni, in realtà è un'allegoria dell'anima, che nel luogo di ritrovo spirituale (la taverna), può o non può raggiungere la conoscenza di Dio (l'oste), può star male per il troppo bere, oppure rallegrarsi.


Trattasi di un duo indiano (Kayhan Kalhor [fiddle persiano], Shujaat Khan [sitar]) impegnato nel ridare luce ai suoni del passato della via della seta, incrociando diversi stili orientali, tra i quali il persiano, l'indiano, l'arabo.
Le tracce sono tre: due da venti minuti circa, e una da otto, e sono quanto di più vicino alla musica classica indiana. Vanno ascoltate con calma. Non è "World Music da centro commerciale", predisponetevi con la giusta mentalità e la dovuta pazienza e vi si dischiuderà un cofanetto di tesori antichi.





















  • Fire In My Heart
  • Pari Mahal
  • Besh'no Az Nay (Listen To The Nay)


    link nei commenti

    martedì 19 gennaio 2010

    Mercan Dede - Sufi Dreams (1998)



    Mercan Dede (aka dj Arkin Allen, aka Arkin Ilicali) crede che quando si mescolano suoni digitali ad altri creati da strumenti suonati dall’uomo, si crea un linguaggio universale, capace di unire vecchio e nuovo, antico e moderno, est ed ovest.
    Può sembrare un’affermazione forte, ma il musicista/produttore/DJ, nato in Turchia e formatosi a Montreal, ha la sua musica per sostenere la sua tesi.


    Questo contrasto tra musica elettronica e classica o folk, assieme alla filosofia sufi alla quale si ispira Arkin, è il carattere distintivo di questo artista unico nel suo genere.
    “Questi concetti non sono realmente separati” dice Dede. “L’essenza del Sufismo è il contrappunto. Tutto convive con il suo opposto. In un’unica traccia io riesco a creare musica elettronica, ma riesco anche a fonderla con la musica acustica tradizionale”.


    Sufi Dreams è l'esordio del musicista turco ed è, a parer mio, il suo disco migliore. E' un libro dei sogni o visioni mistiche, suddiviso in sei parti, tutte fortemente influenzate dall'elettronica ma improntate sulla tradizione sufi. Ora caldo, quasi scottante, come la sabbia del deserto, ora liquido e inafferrabile come l'acqua del Mar Nero, è l'album più introspettivo della carriera di Dede.
    Buon ascolto.
















    1. Mevlana Celaleddin Rumi - Dream of Shams
    2. Dream of Lover - The Awakening
    3. The Name of the City - Dream of Adam
    4. Dreams Of Sufi Saints
    5. Hidrelaz - Dream of Perhan
    6. Last Chapter - Dream of the Dreams

    link nei commenti

    domenica 17 gennaio 2010

    Tuva Ensemble - Tuva: Voices from the Land of the Eagles (1991)

    Voices from the Land of the Eagles si apre con 3 minuti di assolo di igil, prima dell’ingresso dello strumento più naturale: la voce. La diplofonia, diceva Stratos, è un fenomeno riscontrato negli esercizi di riscaldamento vocale dei monaci tibetani, secondo Demetrio, il secondo suono era del tutto involontario. Tuttavia, con esercizi mirati, atti a sviluppare e padroneggiare questa caratteristica, è possibile costruire vere e proprie melodie, sfruttando la gola come se fosse un flauto. Ed è con questo gioco di riverberi che le stesse ugole cantano le strofe e accompagnano l’igil (ed altri strumenti caratteristici) per tutta la durata dell’album.

    Il Khoomei è un canto gutturale originario della Tuva, un’area della Siberia limitrofa alla Mongolia. Zona remota, primitiva (con accezione positiva, positivissima), sopravvivono antiche credenze, sciamanesimo, animismo, il forte legame tra uomo e natura.

    Vicino alle diplofonie dei monaci tibetani, oggetto su cui Demetrio Stratos ha basato (parte dei) i suoi studi vocali, il Khoomei sta subendo una riscoperta nelle regioni asiatiche e non solo, grazie alle pubblicazioni della Pan Records di raccolte come questa e album veri e propri di gruppi come gli Shu-De, Yat-Kha, Huun Huur Tu e tanti altri, che riceveranno ulteriore visibilità su queste pagine.
























    1. Igilding Iizi
    2. Toruktug Dolgai Tangdim
    3. Tying Siirtuktiilerining Iri
    4. Bayan Dugai Koshkarliimni
    5. Khomushka Ayalgalar
    6. Ches Bulungum
    7. Sigit, Kargiraa and Khoomei
    8. Kargiraa-Style Song
    9. Khomus
    10. The song of the orphan child
    11. Tuvinian comical folk refrains


    link nei commenti